By: gestione
Aumenti di capitale: pericolo imminente
Tratto da La legge per Tutti
Il pericolo è imminente: quello degli inevitabili aumenti di capitale che le banche italiane devono necessariamente deliberare (e forse realizzare) per ripristinare quel capitale “minimo” necessario se si vuole continuare a “fare banca”.
In pratica, la BCE ha imposto alle banche “a rischio” le condizioni essenziali (le risorse “minime”) per garantire i prestiti che effettuano alla clientela e i rischi che possono derivare da sofferenze, incagli e altri crediti deteriorati. Ma perché una banca deve garantire i prestiti che effettua alla clientela?
Perché i prestiti vengono fatti con i soldi dei risparmiatori. Pertanto, se domattina quei risparmiatori si dovessero presentare allo sportello, chiedendo i loro soldi, e la banca, avendoli dati in prestito a famiglie e imprese che, per effetto della crisi, non possono restituirli, non dispone di un patrimonio proprio sufficiente a garantirne il rimborso, succede ciò che le immagini televisive ci ricordano accadde a Cipro e in Grecia: saracinesche delle banche abbassate e file chilometriche di risparmiatori inferociti che non potevano più disporre dei loro averi. E in Italia? Nessuno ne parla, soprattutto in banca. Ma ciò che sta accadendo in queste settimane ha allertato il popolo dei risparmiatori di quelle banche già vigilate dalla BCE perché con coefficienti patrimoniali non adeguati. Per quei risparmiatori il rischio è vicino.
Quindi qualche consiglio “precauzionale” è d’obbligo.
Cominciamo col dire che gli aumenti di capitale sono sottoscritti da tre categorie di soggetti: privati cittadini, imprese e fondi comuni di investimento mobiliare.
Per quanto riguarda il privato cittadino sappiamo che le banche, come più volte ribadito anche in questa rubrica, hanno “forzato” la predisposizione del profilo di rischio del risparmiatore facendolo diventare “un investitore che, pur conoscendo il mercato azionario, non aveva mai acquistato azioni prima”. Oggi quegli investitori che già hanno acquistato azioni della banca si ritrovano in mano un capitale più o meno dimezzato e/o (in caso di nuovi aumenti di capitale) saranno compulsati per sostenere di nuovo la propria banca. Tanto loro sono ufficialmente e legalmente degli “esperti del mercato azionario”! Consiglio (ripetuto come un mantra): chiedete di verificare il vostro profilo di rischio e fatevelo modificare se non corrisponde alle vostre caratteristiche di investitore!
L’impresa invece – e a maggior ragione la piccola impresa (con evidente minor forza negoziale), affidata (cioè che aveva ricevuto un prestito dalla banca) – veniva sottoposta alla classica pressione: finanziamento a patto di firmare investimenti poco sicuri. Salvo poi constatare che, qualche anno dopo (alla faccia del sostegno alla economia reale), quegli affidamenti sono stati revocati e quelle azioni poi vendute forzatamente a un valore di gran lunga inferiore per diminuire le esposizioni creditizie. Consiglio: provate a dire “no”! Quel “terrorismo” è solo di facciata; se siete ancora affidati vuol dire che lo meritate, che il vostro rating è ottimo e che nulla – men che meno il rifiuto alla sottoscrizione dell’aumento di capitale – potrà degenerare. E poi munitevi sempre di microregistratore e di apposite app sugli smartphone per registrare, preavvisando sempre l’interlocutore per l’autorizzazione, eventuali conversazioni minacciose.
Per quanto riguarda, infine, i fondi di investimento mobiliare, le case di investimento hanno sottoscritto importanti quote di collocamento di titoli azionari emessi dalle banche per sostenere gli aumenti di capitale. Nei loro portafogli esistono pertanto grossi quantitativi di azioni delle banche che sono poi acquistati “indirettamente” dai cittadini attraverso la sottoscrizione di quote dei fondi comuni di investimento mobiliare con “profilo bilanciato”, cioè con una componente di titoli azionari pari ad almeno il 50% del patrimonio del fondo. E quindi, come nel gioco dell’oca, ritorniamo al punto di partenza: per permettere al privato cittadino e alle imprese di poter acquistare quote di fondi quantomeno ‘bilanciati’ occorreva manipolare il profilo di rischio.
Ma fin qui il rischio è limitato al grado di consapevolezza del cittadino e dell’imprenditore. Però se questa cognizione è stata costruita ad arte, manipolata per creare dei replicanti “inconsapevolmente consapevoli”, il pericolo più grande si annida negli aumenti di capitale disposti da quelle banche che non sono quotate sui mercati ufficiali. Perché quando poi il privato cittadino o l’imprenditore ha intenzione (o l’obbligo) di vendere quelle azioni può ritrovarsi… senza acquirenti. Infatti se il cliente di Unicredit, Intesa, Mps e altre grandi banche, sebbene con grosse perdite, può comunque vendere i titoli azionari in suo possesso perché quelle azioni sono quotate sui mercati ufficiali (e quindi un compratore, anche se speculatore, lo si trova sempre), un cliente invece di una piccola banca (come le Banche di Credito Cooperativo) deve aggiungere al danno la beffa. Quei prezzi delle azioni/quote delle banche piccole (ripetiamo non ufficiali, forniti dalle stesse banche in base al valore del loro patrimonio) non rappresentano nulla, sono zero se non c’e’ un acquirente. Banca Popolare di Vicenza docet!